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venerdì 11 maggio 2018

La morte di Sana tra verità e sciacallaggio

Mustafa Ghulam, il padre di Sana Cheema, già in stato di fermo da tre settimane e ora agli arresti in Pakistan con altri due famigliari, ha confessato di aver ucciso la figlia, morta a casa dei genitori il 18 aprile scorso. La confessione del padre della ragazza - che abitava a Brescia ed era venuta in visita a Gujrata nel Punjab, chiude il cerchio di una vicenda messa in luce dal Giornale di Brescia e che era diventata un giallo anche per le autorità pachistane. Ma proprio il clamore delle notizie in Italia aveva convinto la giustizia del Paese dei puri e riesumare il cadavere e a praticare l’autopsia.

I risultati del Punjab Forensic Laboratory – responsabile del distretto di Gujrat dove risiede la famiglia - hanno svelato mercoledi che la ragazza non era morta per un attacco cardiaco, come i suoi famigliari avevano detto, ma per strangolamento: facendosi aiutare da uno dei figli maschi – così riferiscono i media locali – il padre l’ha soffocata fino a romperle l'osso del collo, come ha evidenziato l'autopsia eseguita sul corpo disseppellito in aprile. La confessione non fa oggi che confermare l’evidenza dell’esame autoptico.

Scelte editoriali. Diversi media hanno subito dato
 per scontato, oltre all'omicidio, anche il modo barbaro
con cui sarebbe stato eseguito dai pachistani
Sana, 25 anni, cresciuta a Brescia (che ha aperto un fascicolo) dove lavorava e aveva un fidanzato, sarebbe stata uccisa per aver rifiutato un matrimonio combinato ma su questo si tratta per ora soltanto di ipotesi non ancora confermate in ambito giudiziario. L’iter, che con la confessione di ieri apre le porte del carcere per i colpevoli, è dunque quello di un procedimento che parte da un’accusa di omicidio per strangolamento. Per ora gli arrestati sarebbero tre: Mustafa, il padre (che, come la figlia, ha cittadinanza italiana), il fratello Adnan, e lo zio Iqbal Mazhar. Ma le cose si mettono male anche per un cugino di Sana ( e forse anche per la madre) che avrebbe trasportato il cadavere fino al luogo di sepoltura. Infine c’è il medico che ha firmato il certificato di morte anche se sarebbe stato proprio il dottore ad accusare la famiglia, come ha spiegato all’Ansa Raza Asif, segretario della comunità pachistana in Italia. Una comunità che ha preso subito le distanze da qualsiasi giustificazionismo e che ha anche dovuto difendersi dalle strumentalizzazioni sempre in agguato (alcuni media e lo stesso Matteo Salvini avevano scritto su fb di una ragazza “sgozzata”).
Stando alle ultime ricostruzioni, padre, zio e fratello avrebbero anche avuto in mente una fuga in Iran ma le autorità pachistane hanno agito con rapidità e fermezza smentendo un lassismo che viene di solito attribuito al Paese asiatico.

Difficile dire cosa succederà ora: il Pakistan ha sospeso la moratoria sulle esecuzioni capitali e dunque il padre e forse anche i complici rischiano persino la pena di morte, a maggior ragione dopo tanto clamore internazionale sulle vicenda. Difficile per gli avvocati ricorrere all’escamotage del delitto d’onore perché qui si tratterebbe di un omicidio preventivo dovuto forse a un semplice rifiuto verbale della ragazza. In Pakistan inoltre sono molto attivi movimenti e associazioni della società civile che hanno messo sotto accusa leggi che ancora prevedono che tali delitti siano in qualche modo giustificati.

Sui giornali pachistani il caso ha fatto rumore: e nonostante i molti passi avanti della società pachistana – dove il delitto d’onore è ormai sempre più spesso messo sotto accusa dagli attivisti come dalla magistratura – il timore è che il caso di Sana – purtroppo non l’unico – possa alimentare odio e discriminazione verso una comunità numerosa che risiede e lavora nel nostro Paese.

Questo articolo è uscito oggi su il manifesto

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