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domenica 10 marzo 2024

Un'intervista col Gotha politico di Timor Est


“Siamo un piccolo Paese ma nel 2025 entreremo nell’Asean. Possiamo forse dare poco ma credo nell’importanza di essere dentro un contesto regionale attivo”. Xanana Gusmao, il “Che Guevara dell’Asia”, ci riceve in una saletta del Palazzo del Governo di Timor Est, un edifico bianco latte affacciato sul lungomare di Dili. Lo porta bene il peso degli anni questo signore che ne ha 78 e che ha sempre avuto una sua eleganza anche quando era in mimetica, la barba incolta, un sorriso empatico che ha conservato anche se ora ha un completo blu e una cravatta con un nodo perfetto. Gusmao non è stato solo uno dei protagonisti della Liberazione di Timor Est, con Ramos Horta, Mari Alkatiri, il vescovo Ximenes Belo. 

E’ stato anche l’uomo di una svolta moderata quando ha lasciato il Fronte di liberazione Fretilin per fondare un suo partito. Che alle ultime elezioni lo ha potuto consacrare premier. E’ stato combattente, mediatore, presidente, primo ministro. Protagonista della lotta all’Indonesia, Paese occupante, ma anche della lotta interna ai rivoluzionari che lo accusano di aver cambiato bandiera.

Il "Che" dell'Asia sudorientale

Pragmatico come sempre, ora deve far entrare il suo Paese nell’Associazione regionale del Sudest asiatico, un salto che farà di Timor Est l’11 Paese membro. Strada in salita. Su cui, prima di essere invitato al summit Asean di Giacarta del settembre scorso, ha lanciato una bomba che molti non gli hanno perdonato: “Nell’Asean non entriamo se non si risolve il dossier Myanmar”, dice Xanana nell’agosto 2023. Otto mesi fa. E adesso? “Fu un’affermazione in un momento che mi vedeva molto contrariato dall’espulsione dal Myanmar dei nostri diplomatici. Ne temevo gli effetti ma poi, nelle mie conversazioni con gli altri governi, ho percepito, e non solo coi Paesi Asean ma anche con Cina, Giappone o Stati Uniti, la stessa volontà di cambiamento: restituire la democrazia ai birmani”. Una guerra poco raccontata nascosta da altre sotto i riflettori. Ma, dice, senza le parole necessarie a spegnerle: “Quel che mi colpisce dei conflitti a Gaza o in Ucraina è il silenzio. E l’incapacità di chi potrebbe avere la leadership di impegnarsi veramente per il dialogo. Eppoi c’è questo senso di impotenza, perché noi siamo piccoli anche se sappiamo bene cosa significa la sofferenza della guerra. Se parliamo, chi ci sta a sentire? Chi potrebbe far sentire la sua voce invece, preferisce tacere e vendere armi. C’è bisogno di cambiare atteggiamento e ci vuole anche una riforma delle Nazioni Unite”.

E’ un tema che gli sta a cuore e di cui ha già parlato. Alla 69ma Assemblea generale Onu (2014) per esempio, aveva ricordato che le democrazie occidentali “che si dicono scioccate dalle violazioni dei diritti umani nei Paesi in via di sviluppo” sono le stesse che “hanno venduto armi sofisticate all’Indonesia”. Un Paese con cui Timor Est ha chiuso i conti e che adesso è il maggior sponsor di Dili per l’ingresso nell’Asean. Mentre ci lasciamo, un’ultima battuta: “La chiamavamo il Che dell’Asia. Cosa le resta dentro di quel mito?

“Resta l’impegno che è la forza che ci fa andare avanti e imparare dagli errori. Col Fretilin commettemmo l’errore di essere chiusi, un partito marxista leninista maoista per cui se non eri con noi eri fuori. Ci siamo anche uccisi tra di noi. Poi negli anni Ottanta abbiamo capito che dovevamo aprire: sei per l’indipendenza? Allora siamo insieme. Prima, chi non era del Fretilin era semplicemente un nemico”.

L'opinione di Mari Alkatiri

Il Paese oggi nemici non ne ha ma ha le sue difficoltà. E’ piccolo, non ha un milione e mezzo di abitanti, la scolarità è diffusa ma manca un’istruzione di livello. Ha oro nero ma si esaurirà e i detrattori, che guardano a un bilancio dello Stato che per il 70% viene dal comparto gas-petrolio, accusano Timor di una politica di sussidi – oltre il 40% del budget - che non incentiva l’imprenditoria. Eppoi la crisi politica che si trascina proprio col Fretilin, di cui Ramos Horta era stato tra i fondatori. Assieme a Mari 

Alkatiri. Alkatiri è un uomo di poche parole. Apparentemente freddo. Ci riceve nel suo ufficio di ex primo ministro. E’ l’uomo degli inizi, premier del primo governo dopo il referendum del 2022, l’uomo che tratta con gli australiani per difendere il petrolio di Timor e che fa di Oecussi – l’exclave in territorio indonesiano – un piccolo paradiso, come in tanti gli riconoscono. Poi, dopo le oscure vicende del 2006 – rivolta e violenze che fanno intervenire una coalizione internazionale - perde il premierato. In seguito, il Fretilin - di cui è segretario - sconta un'emorragia di voti.

Cosa rimprovera a Xanana? “Incompetenza, un bilancio incomprensibile, la relazione con un'opposizione “costruttiva” – che il Fretilin gli ha offerto – e che per il governo significa dire sempre sì, pressioni sulla magistratura... Xanana non è un manager. E’ rimasto un comandante. Che si regge su una coalizione che pensa solo a interessi di parte”. Il dialogo è impossibile? “Vorrei dire che lo è, ma non posso. Ragionano emotivamente, non razionalmente e non hanno un’idea-Paese. Io credo a un governo che sappia ascoltare, inclusivo. Questo non lo è”. Su una cosa c’è accordo: l’ingresso nell’Asean, un’arena “dove dobbiamo far sentire la nostra voce”.

Cammino in salita

Al cronista cresciuto nel mito della rivoluzione timorese, che oggi si chiama solo liberazione, è difficile fare il punto. Eppure questo piccolo Paese è riuscito a passare dalla lotta armata a una transizione pacifica. E’ riuscito a chiudere col passato. Oggi gli indonesiani, che invasero l’isola nel 1975 con violenze e stragi, sono amici. Il presidente Horta si è appena congratulato con Prabowo Subianto, il nuovo Capo di Stato indonesiano che negli anni Ottanta comandava i berretti verdi degli invasori. Quella generazione – gli Xanana, gli Alkatiri – ha creato un modello che ha poi trasferito nel G7plus, un’organizzazione intergovernativa di 20 nazioni con sede a Dili che fa da piattaforma ai Paesi colpiti da conflitti sulla base di un dialogo nazionale che superi la guerra. Velleitario? Forse, ma è l’espressione di un patrimonio abbastanza unico e che continua a indicare che c’è un’altra via che non la guerra. Quanto alla vecchia generazione, forse dovrebbe lasciare il passo a leader che al momento non ci sono. Anche per quelle presenze ingombranti e litigiose?

Il punto con Roque Rodrigues

Che Gusmao e Alkatiri non vadano d’accordo non è una novità. Chiediamo a Roque Rodrigues, un timorese della stessa generazione - che si definisce ancora un ”combattente” e ha ricoperto ruoli ufficiali importanti - se non vi sia anche uno scontro tra personalità. “Può essere – dice allargando le braccia – perché sono due personaggi di grande carisma. Se hanno un difetto è che non riescono a dialogare. Anche perché sono attorniati da persone che soffiano sul fuoco: per gli uni Xanana è un diavolo. Per gli altri, Mari è legato ad Al Qaeda… perché – ride - Alkatiri è di origine yemenita”. Ma anche sulla sua generazione ha qualcosa da aggiungere: “Noi anziani siamo stati importanti. Ma adesso, per un giovane di Timor, alcune parole non hanno più lo stesso senso che avevano per noi. A noi il nome Prabowo Subianto dice qualcosa. Loro ci vedono solo quello che gli propone Tik Tok”.


Questo articolo è uscito anche su ilmanifesto  atlanteguerree Lettera22

venerdì 8 marzo 2024

Quattro viaggi "fuori rotta" da ascoltare


“Fuori Rotta” è un podcast di 11Decimi, la collana di approfondimento giornalistico di Next New Media che proporne 4 racconti in collaborazione con Lettera22. E' un viaggio non turistico in alcune città del mondo spesso poco note al nostro sguardo, raccontate da chi le ha vissute e le ha viste cambiare negli anni. “Fuori Rotta. L’altro volto delle città” svela luoghi, persone, abitudini e mutamenti culturali
e sociali di città e metropoli al centro di profondi cambiamenti. La prima puntata, su Dacca, è uscita oggi e si può ascoltare qui con la voce di Giuliano Battiston.


Le prossime città sono Manila (Paolo Affatato), Juba (Irene Panozzo), Bangkok (Emanuele Giordana con Massimo Morello).

Coordinamento editoriale: Tiziana Guerrisi
Producer: Sara Sartori
Post-produzione e musiche: Pietro Snider e Lorenzo Sidoti
Progetto grafico: Beatrice Camberau
Coordinamento collana 11Decimi: Andrea Battistuzzi
Produzione Next New Media Srl. marzo 2024 ©️ tutti i diritti riservati.

giovedì 22 febbraio 2024

Prabowo Subianto ad Asiatica


Dili (Timor Est) - Chi è Prabowo Subianto - il nuovo Capo di Stato dell'Indonesia -  abbiamo cercato di spiegarlo in un post precedente. Ma cosa si riesce a scrivere in 50-60 righe? Cosa invece si può raccontare in mezz'ora? Lo abbiamo fatto nella trasmissione "Asiatica"  di ieri sera. In studio Valeria Manieri e, da Bangkok, Francesco Radicioni che mi hanno dato la possibilità di spiegare le cose nel dettaglio, dal mio punto di vista ovviamente. Oltretutto, sono a Timor Est, un luogo che ha avuto molto a che fare con l'ex generale allora capitano dei berretti rossi (Kopassus). Un passato non molto specchiato....


Asiatica è l'unica trasmissione italiana che ha un focus costante sul continente più popoloso del Mondo con un occhio che spazia tra i due colossi (Cina e India) ma non dimentica tutto il resto. La trasmissione potete ascoltarla qui e altrimenti potete seguire le altre sulla Homepage della trasmissione di Radio Radicale. Il respiro è lungo e direi in controtendenza su come i nostri media affrontano il Mondo. Oltre la cronaca di giornata insomma e cercando di approfondire.

mercoledì 21 febbraio 2024

La prima volta a Timor Lorosae


                                                   

Dili - Ho sempre sognato di venire a Timor Est (Timor Leste, Timor Lorosae) fin da quando - erano gli anni Ottanta-Novanta - ho cominciato a seguire la lotta di liberazione dall'Indonesia.

 Incontrare oggi personaggi come Xanana Gusmao o Marti Alkatiri (cosa che in gran parte devo al mio amico del Fretilin Davide Corona) è non solo il dispiegarsi di un sogno un po' romantico e un po' ideologico, ma anche il modo per capire come si trasforma un rivoluzione che ora si chiama solo liberazione. Non ho capito molto di Timor Est e della sua storia complicata se non che voglio tornarci e lo farò. Non è difficile: potete volare da Denpasar a Kupang (è il viaggio aereo meno costoso) e da li in autobus (comodo, spazioso) arrivare a Dili, la capitale di Timor Est in circa 12 ore. Gli europei non pagano il visto che è di 90 giorni. Il biglietto costa (febbraio 2024) 350mila rupie in Indonesia ma quando lo comprate per tornare da Dili a Kupang costa 35 dollari in un Paese dove la moneta (di carta) corrente è il biglietto verde (taglio minimo 5 dollari). E' un Paese fantastico che mi riprometto di raccontare.


Ma adesso lasciatemi dire il piacere di aver incontrato Xanana
Gusmao e aver fatto una chiacchierata di 45 minuti con lui in compagnia di Vincenzo Caretti, un antico compagno di viaggi (all'Eden). E' stata la prima visita di una serie di cui racconterò. Gusmao è stato davvero amabile e il suo ufficio ne ha fatto anche un
post su Fb . E insomma, son soddisfazioni o no?

giovedì 15 febbraio 2024

L'oscuro passato del futuro presidente dell'Indonesia

Se le proiezioni di queste ore saranno confermate dai dati ufficiali come pare certo, è ormai davvero certo che a governare le 17mila isole indonesiane sarà Prabowo Subianto. Un uomo che ha saputo riciclarsi con abilità attraversando stagioni molto diverse. L'ultima delle quali quella del gemoy, il nonno "carino" che evidentemente è piaciuto a giovani e meno giovani che costituivano oltre il 55% dell'elettorato tra Generazione Z e Millennial 


Kupang - Prabowo Subianto Djojohadikusumo, classe 1951, tanto per cominciare viene da una famiglia ricca giavanese e da un giro di imprenditori amici del generale Suharto, un dittatore durato 32 anni. Il giovane Prabowo frequenta Jalan Cendana dove Suharto vive con la famiglia e dove corteggia Titiek, la secondogenita del rais. E’ nel giro che conta e nel maggio 1983 si sposano. Divorzieranno nel 1998, anno della caduta politica del padre. 

All’epoca Prabowo era un ufficiale dell’esercito che farà poi carriera in un corpo d'élite, le forze speciali Kopassus. A loro tocca tra il 1976 e il 1998 combattere la resistenza al governo centrale nell’Irian Jaya (Papua) ma soprattutto a Timor Est, la riottosa ex colonia lusitana che Suharto ha invaso dopo la Rivoluzione dei garofani portoghese che le aveva concesso la libertà. Si guadagna sul campo le stellette da generale. Poi, nel 1998 Suharto lo promuove alla Kostrad, la riserva strategica di cui lui stesso era stato il primo comandante all’epoca della repressione anticomunista (1965-66). 

Sono gli ultimi colpi di un vecchio dittatore ormai in coma che nel maggio di quell’anno si dimette. In quel periodo i generali giocano un ruolo chiave e saranno loro a scaricare il loro mentore. Prabowo cerca di ricavarne un guadagno ma lo batte in abilità una vecchia volpe, il potente generale Wiranto. Un ufficiale che condivide con lui una divisa piena di macchie.

Quando in un’intervista del 2014 ad Al Jazeera gli si chiede conto di attivisti anti Suharto scomparsi, Prabowo se ne fa scudo e risponde tranquillo che si, era roba sua ma erano “ordini superiori”. Ma intanto è in disgrazia. Viene esautorato dal ruolo militare e va in esilio in Giordania. Forse avrebbe preferito gli Usa che però lo avevano messo al bando (levato nel 2020) per il suo passato. Tornato dall’esilio pian piano si ripulisce. L’ultimo ritocco è merito di Jokowi.

venerdì 9 febbraio 2024

La XII edizione dell'Atlante delle guerre è in libreria


Pensato come un vero e proprio atlante, dove ogni conflitto ha pari dignità, è un annuario aggiornato delleguerre in atto sul Pianeta col quale lavoro ormai da diversi anni, dirigendo il sito italiano e collaborando alla stesura delle schede che riguardano l'Asia.

Nell'Atlante vengono analizzate e spiegate le ragioni di tutti gli scontri armati in corso: chi combatte e perché, qual è la posta in gioco e le ragioni che muovono al conflitto. Senza prendere posizione a favore di qualcuna delle parti in causa, l'Atlante è uno strumento che ci sembra importante di informazione e di costruzione di una coscienza civile. La XII edizione dell'Atlante ha il suo focus sui conflitti tra Israele e Palestina e tra Russia e Ucraina. Contiene dossier tematici su: la recrudescenza del conflitto Israele-Palestina; gli sviluppi più recenti del conflitto Russia-Ucraina; riarmo e nuovo pericolo nucleare; il dramma dei civili in zone di guerra; Cina e nuovi equilibri; guerra e beni artistici; guerra e finanza; Peacebuilding; donne e diritti. Con schede conflitto e infografiche generali.

Se volete sostenerci cliccate qui e acquistate un volume (si trova anche in libreria)

sabato 20 gennaio 2024

Se 50 anni vi sembran pochi. Una condanna per diffamazione in Thailandia


Chiang Rai
Mongkol "Busbas" Thirakot – un attivista trentenne di Chiang Rai (Thailandia settentrionale) – è stato condannato a 50 anni di carcere per aver violato la legge sulla diffamazione reale, il famigerato articolo 112 del codice penale, la più drastica legge a difesa della monarchica che esista sul pianeta. L’udienza d’appello si è risolta con una condanna che ha tenuto conto di più reati oltre a quelli ascrittigli in primo grado, cosa che gli ha aumentato la pena. Secondo i suoi avvocati si tratterebbe della più severa condanna per violazione dell’articolo 112 del codice penale del Regno. Ora Busbas sta presentando una richiesta di cauzione alla Corte Suprema. Una battaglia in salita.

La colpa di Busbas è di aver partecipato a quel Movimento studentesco giovanile che negli anni scorsi – anche in piena pandemia - ha contestato la monarchia, il governo semi militare e la legge elettorale chiedendo che venissero ridotti beni e autorità del monarca. Attivista di un movimento che si è poi esteso a vasti settori della società thai, è stato arrestato nell'aprile 2021 mentre era in sciopero della fame a Chiang Rai per difendere il diritto alla cauzione per i prigionieri politici – tantissimi – incarcerati o condannati per aver violato la legge sulla diffamazione o il codice penale che tratta il capitolo “sedizione” (articolo 116). Nelle carte dell’accusa c’erano però anche 27 post su Facebook che hanno fatto decidere alla Corte d'appello che Busbas è colpevole di altri 11 capi di imputazione di lesa maestà, oltre ai 14 stabiliti dal primo grado. Da qui l’aumento della pena iniziale di 28 anni cui se ne sono aggiunti altri 22. Le cose sarebbero andate forse diversamente se la Thailandia avesse rispettato il voto popolare della primavera scorsa che aveva dato la vittoria a un partito - Phak Kao Klai - che aveva fatto dei limiti alla corona una sua bandiera. Ma poi la magistratura ha bloccato con un cavillo la candidatura a premier di Pita Limjaroenrat, il leader del partito, e i giochi sono tornati in mano all’élite che ha ottime relazioni sia col re sia con l’esercito. Occasione sprecata di cui Busbas non è l’unico simbolo.

Amnesty International ricorda il caso di Anchan Preelert, un ex alta funzionaria del settore statale fiscale condannata nel gennaio 2021 e a cui inizialmente era stata comminata una pena detentiva di 87 anni con l'accusa di aver violato il famoso articolo 112 e il Computer Crime Act per via di post su molteplici social media che avrebbero diffamato la monarchia. La pena è stata poi ridotta a 43 anni perché Anchan ha confessato. Così adesso tocca a Busbas il primato di una condanna che ha il sapore di una legge medievale. Una condanna ai sensi dell’articolo 112 comporta un minimo di tre anni di reclusione e un massimo di 15 anni per ciascuna accusa. Il cumulo, come si vede, può portare a condanne che equivalgono al carcere a vita.

Secondo i dati di Thai Lawyears of Human Rights (Tlhr), il gruppo di avvocati che ha diffuso la notizia della condanna di Busbas, a oggi, dall’inizio delle proteste del luglio 2020 fino al 31 dicembre 2023, almeno 1.938 persone sono state perseguite in 1.264 casi a causa della loro partecipazione ad assemblee e manifestazioni politiche (286 sono bambini e giovani sotto i 18 anni). L'accusa di lesa maestà riguarda invece almeno 262 persone in 287 casi. Il re può dormire sonni tranquilli. Potrebbe dunque anche accordare loro il perdono reale.