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venerdì 23 settembre 2016

India e Pakistan: guerra di parole all'Onu

L’Assemblea generale dell’Onu si è trasformata nella tribuna di violente accuse tra India e Pakistan, definito ieri da Delhi uno «stato terrorista». E se Islamabad, nel discorso del suo premier Nawaz Sharif, aveva usato toni morbidi, lo stesso Nawaz Sharif aveva appena recapitato a Ban ki-moon un dossier sulle violazioni indiane in Kashmir, prontamente sostenuto dai rappresentanti dell’Organizzazione della conferenza islamica. Islamabad intanto - benché la cosa fosse in agenda - ha  chiuso ieri lo spazio areo nelle zone vicine al conteso territorio del Kashmir dove aveva previsto esercitazioni aree che, dice la stampa locale, hanno aumentato il sospetto che le forze armate pachistane si stiano preparando a una possibile escalation militare tra i due Paesi. La tensione è alta e, se la cornice è antica da quando i pachistani invasero il Kashmir il cui maraja indu aveva deciso di stare con l’India nonostante una popolazione largamente musulmana, lo sfondo attuale è l’attacco che il 18 settembre, ha visto morire diciotto soldati indiani nella base kashmira di Uri. Lo stato di allerta è diffuso e in alcune zone è stato innalzato (in Maharashtra ad esempio, dove gli indiani hanno denunciato strane manovre vicino a una base della marina). Inutile dire che le frontiere – terreno di scontri continui anche fuori dalla regione kashmira - sono ultra presidiate. Senza contare che è in ballo anche un possibile boicottaggio del meeting della Saarc che si dovrebbe tenere in novembre a Islamabad*.


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Il nodo del Kashmir resta un bubbone purulento. All’Onu Nawaz Sharif ha sostenuto che una pace tra i due Paesi sarà possibile solo con la risoluzione del contenzioso e ha chiesto la demilitarizzazione dello Stato indiano del Jammu e Kashmir, condizione inaccettabile per chi lamenta infiltrazioni terroristiche dall’area kashmira controllata dai pachistani. Delhi, per altro, non esita a usare il pugno di ferro: settimana scorsa è stato arrestato Khurram Parvez - coordinatore della Jammu Kashmir Coalition of Civil Society - che, appena uscito di prigione, è stato riarrestato grazie al controverso Public Safety Act, una legge speciale che consente la detenzione per sei mesi senza processo. Parvez doveva recarsi a Ginevra per denunciare gli effetti della repressione che si è scatenata dopo la morte nel luglio scorso di un famoso separatista locale, Burhan Wani a capo del più vasto gruppo secessionista locale, l’Hizbul Mujahideen. Le proteste dopo la sua morte e la repressione che ne è seguita hanno lasciato sul terreno decine di vittime civili in un’ondata di violenze che non si vedeva nella regione da almeno cinque anni.

In un momento così teso tra i due Paesi c’è chi getta benzina sul fuoco anche da fuori. E se il segretario di Sato Kerry all’Onu ha condannato l’attacco di Uri ma ha anche espresso preoccupazione per le violenze in Kashmir (gli Usa sono alleati di entrambi i Paesi), due parlamentari americani hanno appena deciso di chiedere al Congresso un voto che definisca il Pakistan «Stato sponsor del terrorismo», rafforzando così la durissima posizione che gli indiani hanno tenuto ieri all’Onu attraverso la replica all’intervento di Sharif affidata al primo segretario della missione permanente a Palazzo di Vetro: Eenam Gambhir ha definito il Pakistan uno Stato terrorista che, sponsorizzando il terrorismo, commette crimini di guerra. Gli han fatto eco le parole di Sarwar Danish, uno dei vicepresidenti afgani che, pur senza nominare il Pakistan, lo ha di fatto accusato di aver allevato i talebani, ospitato Al Qaeda e di dare rifugio alla Rete Haqqani, la più estremista delle fazioni talebane. Anche se proprio in quelle ore in Afghanistan la realpolitik faceva firmare la pace col gruppo combattente Hezb-e-islami che consentirà a Gulbuddin Hekmatyar, il “macellaio di Kabul” di tornare nella capitale.

* La Saarc, Associazione sud-asiatica per la cooperazione regionale (South Asian Association for Regional Cooperation), è un'organismo internazionale di cooperazione economica e politica  che comprende otto stati membri: Afghanistan, Bangladesh, Bhutan, India, Maldive, Nepal, Pakistan, Sri Lanka; e sette osservatori: Cina, Corea del Sud, Giappone, Iran, Stati Uniti, Unione europea, Australia.


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