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venerdì 1 maggio 2015

Giustizia per Malala. Ma non per tutti

Sono stati condannati ieri all'ergastolo da un tribunale della valle dello Swat dieci miliziani islamisti che il 9 ottobre del 2012 tentarono di uccidere Malala Yousafzay, la studentessa pachistana che, ferita con due compagne all'uscita di scuola, si è salvata per miracolo sollevando un'ondata di sdegno internazionale che le ha poi fatto avere il Nobel l'anno scorso.

La polizia pachistana aveva arrestato in settembre Bilal, Shaukat, Salman, Zafar Iqbal, Israr-ul-Rehman, Zafar Ali, Irfan, Izharullah, Adnan e Ikram, tutti militanti del Tehreek-e-Taliban Pakistan (Tttp), i talebani del Pakistan che decisero l'uccisione della giovane quindicenne che simboleggiava il diritto allo studio delle ragazze dopo un ordine di mullah Fazlullah, il controverso e sanguinario comandante del Ttp conosciuto anche come mullah Radio per i suoi proclami radiofonici. Il giudice Amin Kundi del tribunale di Mingore, città natale di Malala, li ha riconosciuti tutti colpevoli dell'attentato (la polizia aveva trovato anche le armi utilizzate) condannandoli alla prigionia più lunga in Pakistan (25 anni).

Sabeen Mahmud. Sopra Malala
Ma se la giustizia fa in parte il suo corso (Fazlullah è tuttora latitante) un sondaggio sul quotidiano Dawn su un recentissimo caso equivalente – l'assassinio dell'attivista Sabeen Mahmud solo pochi giorni fa a Karachi – rivela il grado di sfiducia dei pachistani nel sistema che dovrebbe fare giustizia: quasi l'80% ritiene infatti che Sabeen di giustizia non ne avrà. Raggiunta nella macchina dove viaggiava con la madre all'uscita di un dibattito sulla provincia del Belucistan organizzato da T2F, un centro culturale di cui era l'animatrice, Sabeen è stata giustiziata da due motociclisti venerdi 24 aprile con quattro pallottole sparate in faccia (la madre si è salvata). Le autorità di polizia hanno escluso che si potesse trattare di qualcosa di diverso da un attentato omicida. T2F è una storia di successo a Karachi, città difficile e teatro di violenza politica da anni: organizza mostre, incontri e dibattiti ed è un centro vivace della cultura cittadina. Ma quello di Sabeen non è purtroppo l'unico caso.



Tra i più rilevanti e recenti si può citare l'omicidio, qualche giorno dopo la morte di Sabeen, di Syed Wahidur Rahman, docente della Università di Karachi. La sua colpa? Essere sciita. Così come avvenuto in marzo per l'avvocato Ali Hasnain Bukhari, lui pure sciita e attivista del Muttahida Qaumi Movement (Mqm), Stessa tecnica – assassini in moto – e stessa colpa, oppure quella di essere il legale di un movimento politico rivale. Shakeel Auj, rettore della stessa università di Syed Wahidur Rahman che è stato invece ucciso nel settembre del 2014 mentre stava andando a una conferenza al consolato iraniano. Secondo la polizia era una vittima designata dopo che una madrasa di Karachi aveva emesso una fatwa contro di lui per blasfemia. Colpevoli e mandanti sono rimasti impuniti.
Ma a far le spese della violenza politica, islamista o settaria ci sono anche professori di diritto islamico: è il caso di

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