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venerdì 12 dicembre 2014

Il reporter e la principessa

Potrebbe essere il titolo di un film o di quelle serie tv che van tanto di moda. Ma questa volta è un brutto sogno diventato realtà in un teatro di Kabul. Scampati, se Dio vuole, ci sono due vecchi amici, due persone note per il loro impegno e affetto per il Paese dell'Hindukush. Il  free lance, Giuliano Battiston, e la principessa India d'Afghanistan, la figlia di Amanullah Khan che porta quel nome perché suo padre fu esiliato in India dai barbuti e mullah di allora (oltre che un pezzo del suo clan che ne prese il posto e la corona). Sono i protagonisti di una storia raccontata in prima persona da Giuliano su il manifesto e Lettera22.

I due vanno al teatro del Centro culturale francese dove li accoglie la direttrice, Laurence Lavasseur, anche lei una vecchia conoscenza. Il teatro è all'interno di un liceo. E' un posto protetto con controlli di sicurezza come in molti altri luoghi della città. Il kamikaze però, forse non da solo, passa lo stesso col suo carico di morte. Pare fosse un ragazzino, chissà di dove. L'esplosione è forte ma non così tanto da fare molte vittime: un morto e diversi feriti battono le cronache ma poi si sa, c'è chi non passa la notte, anche se le cure precise dell'ospedale di Emergency, non lontano, danno il primo immediato soccorso e quello è il posto migliore se hai ferite da guerra. Già la guerra. Mentre le truppe si ritirano cantando vittoria ed esprimendo valutazioni positive su oltre dieci anni di occupazione militare, il Paese sprofonda in una media altissima di attentati e - mentre aumentano le vittime civili - si alza il target. Non più solo obiettivi militari e gli stranieri nel mirino.



Guardo compulsivamente sul sito dei talebani, quello che farebbe capo alla shura di Quetta, i "puri", i partigiani nazionalisti di Allah, quelli che, per intendersi, non hanno nulla a che vedere con lo Stato islamico e nemmeno con Al Qaeda da cui han sempre preso le distanze. Dissero allora che bin Laden era un ospite e come tale andava protetto. Ma il jihad globale non è cosa per loro. Lo è invece liberare l'Afghanistan. Dunque che c'entra colpire un teatro frequentato da civili, ragazzi e ragazze sia pure attratti dalla cultura occidentale? Sul sito die talebani - che pure hanno rivendicato per telefono - per ora la rivendicazione non c'è. Si parla dell'attentato ai soldati di ieri mattina e dell'operazione a Shindand dove la guerriglia si sarebbe spinta sino al bazar. Ma del kamikaze al teatro francese per ora non c'è traccia. Il pensiero va ad altri gruppi del jihad afgano, quelli si adattia massacri di questo tipo, a colpire nel mucchio perché l'unica logica è il terrore.

Il panorama sta cambiando e noi forse facciamo fatica a capirlo. Ancor meno lo fanno i giornali perché ormai Kabul è lontana e la guerra dimenticata. Ora c'è lo Stato islamico da combattere, nuova fucina per testare armamenti e nuove tecniche anti guerriglia. Di guerra in guerra andiamo avanti senza nemmeno capire chi e cosa combattiamo. Ai margini tocca però sempre alla popolazione civile ormai lontana anche dalle nostre analisi. Si tratti di un reporter o di una principessa.

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