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domenica 7 dicembre 2014

Frontiere porose: l'internazionale del jihad e il caso dell'Azerbaijan

Rischio di travasi della guerriglia jihadista?
Frontiere porose: l'internazionale del jihad e il caso dell'Azerbaigian*

Recentemente sono apparsi diversi articoli1 sulla città post industriale di Sumqayit, costruita alla fine degli anni Quaranta del secolo scorso e divenuta un polo di attrazione interessante per la presenza di fabbriche siderurgiche, chimiche e petrolchimiche. La città non è mai stata un centro religioso importante e anzi non possedeva neppure una moschea sino al collasso dell'Urss, ma adesso Sumqayit, una trentina di chilometri a Nord della capitale Baku, sembra essere diventata la città del jihadismo azerbaigiano, o meglio la risorsa maggiore per partire alla volta dei luoghi dove il jihad, quello armato, si combatte davvero, come in Siria. La città ha una storia particolare, sia perché molte fabbriche hanno chiuso ed è in corso un processo di riconversione industriale e ambientale, sia perché è stata teatro di scontri violenti nel 1998 e in seguito anche il luogo di residenza di molti sfollati. Terza città del Paese dopo Baku e Ganja (oltre 300mila abitanti) è un agglomerato urbano che ha cambiato anima diverse volte – è stata per esempio completamente abbandonata dalla popolazione armena – e ha cercato un nuovo destino dopo essere stata classificata nel 2007 come una delle città più inquinate del mondo2. Degli oltre 600mila sfollati interni del Paese (Idp) censiti nel 2009 dal governo (oggi siamo attorno al milione), la maggioranza viveva nella zona di Baku e Sumqayit (fino a oltre 60mila nella città sita sull'omonimo fiume). Effettivamente, il processo di riconversione, le tensioni create dalla mancanza di lavoro e la residenza forzata di un numero in proporzione rilevantissimo di sfollati interni o rifugiati, sembrano le precondizioni ideali perché si crei un humus perfetto per il reclutamento di giovani ragazzi in cerca di occupazione o di un ideale eroico – il martirio - per cui combattere. Fonti di polizia citate negli articoli menzionati, attesterebbero oltre 200 residenti sotto stretta osservazione come possibile manodopera jihadista, il bilancio più alto di tutto il Paese.
C'è in Azerbaigian un pericolo jihadista? Quanto l'islam radicale è diffuso e quanto è stato ed è una risorsa per gruppi radicali all'estero? Quanto questi, a loro volta, hanno contribuito e contribuiscono, a creare un clima favorevole in Azerbaigian verso l'islam radicale? Gli incidenti a Sumqayit (furti, arresti per detenzione d'armi, colluttazioni e risse tra islamisti in luoghi pubblici) sono fatti occasionali o l'indice di un allarme da tenere in alta considerazione? Quanto il caso Azerbaigian infine testimonia della globalizzazione del jihad pur in tutte le sue diverse anzi diversissime declinazioni?


La religione

Forse è necessario un passo indietro. Cos'è l'islam in questo Paese? Ha un retroterra radicale? La definizione religiosa per l'Azerbaigian non è facile attualmente (e non solo in Azerbaigian) anche perché si basa più su elementi di percezione (cosa mi ritengo io) che su dati strettamente verificati e comunque le distinzioni sono confuse: sciiti? sunniti? sufi? E di quale scuola? Quel che è certo è che talune correnti religiose, come il wahabismo e soprattutto il salafismo, hanno fatto la loro apparizione in epoca recente, forse dieci o quindici anni fa, a fronte di un atteggiamento verso la religione, almeno negli ultimi decenni, molto laico.
Solitamente, secondo la divisione che viene fatta della popolazione di fede islamica (oltre il 90%), l'80-85% è sciita, il 15-20% sunnita. E' il dato che si trova anche sulle pagine web del governo pur se Il Comitato statale che si occupa delle organizzazioni religiose dà gli sciiti al 65% e i sunniti al 35%, numeri confortati anche da altre fonti. Che tipo di sciiti e sunniti? Le differenze sono sfumate ma si tratta comunque di poco o nulla praticanti: secondo una ricerca Gallup del 2009 (che dunque non tiene conto di evoluzioni molto recenti) il 14% di chi si ritiene musulmano prega ogni giorno, il 30% lo fa meno spesso e solo il 25% lo fa in direzione della Mecca3. Se infine si fa riferimento al capo del Caucasus Muslim Board le differenze si sfumano ancora di più. Il Cmb è retto dal Supremo consiglio religioso dei popoli caucasici, il vertice di quel che viene anche definito ufficio o dipartimento dei musulmani del Caucaso (Caucasian Muslim Office) che comprenderebbe Azerbaigian, Georgia, Daghestan, Cabardino-Balcaria, Inguscezia, Cecenia, Karachay–Circassia e Adighezia. E' nato dopo l'indipendenza del Paese, ha sede a Baku, è in ottimi rapporti col governo ed è l'erede in un certo senso degli uffici per gli affari religiosi di epoca sovietica che hanno cercato in passato di controllare le spinte dell'anima in regioni guidate da vertici politici apertamente atei ma in presenza di una tradizione religiosa radicata. Allahshükür Hummat Pashazade a capo dell'ufficio dei musulmani del Caucaso dal 1975 e ora a capo del Board, è sciita e come tale è Sheik ul islam e però ricopre anche la carica di Gran Mufti, qualifica eminentemente sunnita. Tutte le organizzazioni religiose devono passare per la sua approvazione prima della loro registrazione ufficiale. Sciiti o sunniti non fa differenza. I salafiti sono storia recente e risulta difficile capire come il verbo salafita si sia, seppur marginalmente, diffuso. Molti osservatori sono però concordi nel definirlo un movimento non violento in Azerbaigian se non per alcune frange sensibili alla propaganda jihadista della lotta armata. Generalmente potremmo concludere che l'islam dell'Azerbaigian, persino nelle sue forme revivaliste e puriste, non rappresenta di per sé un retroterra favorevole al jihadismo, semmai il contrario. Ma l'islam ha molte sfumature e non solo ideologiche. Infine gode di finanziamenti spesso occulti, della pratica della raccolta fondi tra le comunità, del richiamo di questa sorta di “risveglio” del mondo musulmano cui stiamo assistendo nell'ultimo decennio e stimolata dalla rinascita dell'islam politico. Nel bene e nel male.

Gli elementi di attrazione

Il conflitto in Afghanistan e nel vicino Caucaso settentrionale sono stati il motore di un revivalismo radicale in Azerbaigian che sembra aver assecondato la diffusione di movimenti salafiti e wahabiti e infine la partenza verso l'estero col fine di aderire alle brigate islamiche internazionali in vari Paesi. Il fenomeno è recente ma non si deve dimenticare l'enorme forza che il jihad afgano durante l'occupazione sovietica (1979-1989) ha avuto su tutti i musulmani del pianeta a maggior ragione se sentivano la presenza russa nel proprio Paese come una sorta di forza di occupazione.
Tra il 2001 e il 2003 si ha notizia dell'arresto di una settantina di azerbaigiani che cercavano di raggiungere la Cecenia dove tra il 1999 e il 2o13 ne sarebbero morti una trentina4. Il Daghestan è l'altro polo di attrazione anche in ragione di legami etnici o addirittura di parentela con caucasici del Nord.
Il presidente Ilham Aliyev in visita ai lavori di restauro
 della alla moschea di Juma a Sumqayit
 costruita a spese dei residenti nel 1990
Nel Caucaso l'elemento attrattivo è il cosiddetto Emirato del Caucaso proclamato nel 2007 da Dokka Umarov ( nome di battaglia Dokka Abu Osman), avvelenato (non è ben chiaro da chi o se il fatto sia stato occasionale) nel settembre 2013 e sostituito da Ali Abu Mukhammad al daghestani anche se il progetto di emirato non comprende l'Azerbaigian. Si tratta di un gruppo formato essenzialmente alle origini da sufi nazionalisti ma in seguito infiltrato dai salafiti con lotte intestine interne e polemiche di carattere ideologico e diatribe puriste (per non dire dell'eterna querelle tra politici e militaristi), come avviene in altre aree del mondo islamico in conflitto.

In Afghanistan e Pakistan sono diversi i gruppi di attrazione: non solo e non tanto dunque i talebani della shura di Quetta, poco se non per nulla attratti dal jihadismo qaedista e dai revivalisti wahabiti o salafiti, movimenti cui sono più inclini invece i talebani pachistani del Tehreek-e-taleban Pakistan (Ttp). Il numero di azerbaigiani coinvolti nella guerra afgana sarebbe attorno ai 200-250. Nel 2009 la polizia di frontiera ha arrestato al confine con l'Iran 13 persone accusate di aver partecipato al jihad afgano e pachistano. L'attrazione verso il jihad afgano sarebbe dunque posteriore al conflitto in Cecenia e forse databile alla cosiddetta seconda guerra cecena. E' comunque il secondo jihad – quello contro Usa e Nato – ad attrarre tutta una nuova leva di mujaheddin le cui coscienze si sono risvegliate – nel caso azerbaigiano - con le guerre nel Caucaso e i disordini in vari Paesi dell'ex Urss che hanno già prestato uomini alla resistenza afgana (ceceni, uzbechi, tajiki). Taifatul Mansura5 è per esempio una formazione militante di mujaheddin turcofoni che comprende turchi, azeri, kazachi, uzbechi e tatari. E' attiva in Afghanistan e Pakistan nell'area di confine. E' una formazione minore se si pensa ai più numerosi gruppi uzbechi o ceceni molto probabilmente nel mirino dell'operazione Zarb-e Azb condotta in Pakistan da alcuni mesi nel Nord Waziristan, ritenuto il santuario per eccellenza degli “stranieri” che provengono dal Caucaso, dai Paesi confinanti con l'Afghanistan (come il Mui o Islamic Movement of Uzbekistan ) o dal Turkestan cinese, lo Xinjang.
La Siria, dove Baku ha chiuso la sua ambasciata invitando i cittadini dell'Azerbaigian e non viaggiare verso quel Paese, diventa elemento di attrazione nel 2012 o almeno cosi evidenzia il primo caso attestato da un giornalista francese che parla di azerbaigiani combattenti con il Libero esercito siriano, elemento reiterato poi anche dalla stampa turca. C'è una conferma ufficiale con la morte di Zaur Islamov di Qusar al confine col Daghestan. Le cifre sono ridotte ma pur sempre nell'ordine delle centinaia (tra 100 e 400 secondo diverse fonti6) se sono veri i report di stampa che fanno un bilancio di circa 100 azerbaigiani uccisi in Siria dal 2012.

L'episodio dell'esercito libero siriano – formazione percepita come una pedina occidentale – sembra però far riferimento a casi isolati. In Siria sono più interessanti altre formazioni che prendono forza nel tempo: la Muhajireen Brigade, evolutasi come Jaish al-Muhajireen wal Ansar, gruppo di “stranieri” in gran parte russi e ceceni ma anche occidentali (tra cui 80 britannici. Gli azeri sarebbero una trentina7 e in questa formazione costituirebbero un gruppo specifico sotto un unico comando8) o la più nota Jabhat al-Nusra (o al Nusra Front) e in seguito l'Isil anche se va notato che è rarissima se non assente la partecipazione pregressa di azerbaigiani al conflitto in Iraq. Secondo varie fonti, l'uomo guida sarebbe Abu Umar Shishani, un ex militare georgiano di origine cecena, già a capo della Muhajireen Brigade e che ha aderito all'Isil nel 2013. Sotto il suo comando ci sarebbero 2mila uomini di varie parti del pianeta ex sovietico tra cui circa 700 combattenti caucasici .
C'è anche una fazione pro Hassad che conterebbe però una sporadica adesione da parte di qualche musulmano sciita, comunque citata da varie fonti.
Elemento da considerare nella propaganda di reclutamento è la conoscenza generalizzata in Azerbaigian del russo e del turco, lingue in cui si esprime il messaggio jihadista via internet con video o post reperibili facilmente sui social network

Chi è e da dove viene il militante jihadista?

Un momento del Convegno a Trento
Leggi qui il programma dei lavori
La zona di reclutamento classico della guerriglia transnazionale è sempre stato il Nord dell'Azerbaigian per ragioni storico-geografiche: molti residenti sono musulmani sunniti e molti di origine nord caucasica. Il caso più classico sono i residenti di lingua lezgi, parlata da comunità del Daghestan meridionale e dell'Azerbaigian settentrionale che vivono sul confine di una frontiera in passato senza restrizioni (chiusa nel 1994 dopo i fatti di Cecenia). Queste comunità (in maggioranza sunnite) hanno una tradizione di lotta alla russificazione – e ai movimenti di popolazione imposti da Mosca - che si è poi trasferita anche in un'opzione secessionista. Quanto abbia fatto breccia il messaggio salafita nella sua versione più radicale è difficile da quantificare come anche un'evoluzione che progetterebbe la nascita di uno Stato islamico. Si tratta probabilmente di un fenomeno relativo anche se legato a qualche gruppo (come i Guerrieri dell'islam arrestati dalle autorità di Baku nel 2000) e che tende a essere fuso o confuso con altre istanze rappresentate ad esempio dal movimento Sadval (fuori legge) di ispirazione secessionista. Vero è che questa regione soffre di un disagio endemico (mancanza di lavoro, rigidità stagionali, diritti sulla terra, nonché la presenza dal 1992 di oltre 100mila rifugiati del conflitto nel Karabakh). La vera novità è comunque – per tornare ai fatti recenti - lo spostamento di un asse da Nord, dove comunque la partecipazione ai conflitti jihadisti non ha mai avuto grande rilevanza, alla zona di Baku e Sumqayit, città quest'ultima che ha assistito a un esodo massiccio di lavoratori in cerca delle migliori occasioni rappresentante dal boom della capitale a fronte del declino dell'ormai ex polo industriale: una città dunque con cambiamenti forti nella composizione sociale.

Senza per altro voler escludere l'apporto anche in passato dai grandi centri urbani, la mappatura dell'adesione jihadista si sposta dunque dalle regioni del Nord - (da grandi o piccoli centri come Qusar, Xudat, Xacmaz, Zaqatala, Qax che hanno sostenuto la guerriglia in Cecenia, Daghestan, Afghanistan e Pakistan), principalmente alle città di Baku e Sumqayit. Sumqayit fa la parte del leone e all'Afghanistan e al Caucaso si sostituisce la Siria. Sumqayit appare come un centro di attrazione, di dibattito, di arruolamento locale e nazionale, come luogo di partenza verso il jihad. Molte fonti sono concordi sul fatto che il substrato proletario della città, la mancanza di lavoro e di prospettive, l'attrazione per una vita più dignitosa ed eroica sembrano giocare un ruolo più importante a Sumqayit che altrove.

Perché lo fanno?

Ci sono probabilmente due chiavi di lettura per spiegare le motivazioni dell'adesione
Così si rappresenta Jaish al-Muhajireen wal Ansar
al jihad. Da una parte lo stipendio che viene pagato a un militante (sicuramente non la cifra di 5mila dollari attribuita da un parlamentare locale) o quello, assai più ridotto (meno di 400 dollari al mese), pagato pare da gruppi clandestini locali per attività sul territorio nazionale; dall'altra una motivazione ideologica probabilmente legata al desiderio di uscire dall'impasse di una vita ai margini come quella che può vivere un giovane senza futuro della periferia di Sumqayit. Non solo disperati o marginali però: i militanti (dai 18 ai 40 anni) provengono anche da famiglie benestanti. I casi riportati (interviste, testimonianze dirette o indirette) raccontano anche di semplici diatribe famigliari che spingono il giovane ad allontanarsi dalla famiglia. Il viaggio del resto è semplice ed economico. Si può passare per l'Iran, la Turchia, la Georgia. Gli azerbaigiani non necessitano di visto per la Turchia, che si può raggiungere senza difficoltà via aereo, e lo stesso vale per la Georgia, raggiungibile in autobus a costi accessibili. La Siria è paradossalmente una meta più facile da raggiungere, non solo rispetto all'Afghanistan o al Pakistan, ma addirittura rispetto alla Cecenia. Sui finanziamenti alle attività jihadiste o più semplicemente islamico radicali non c'è molta informazione. Il governo di Baku ha avuto comunque sempre una politica molto dura con le charity del Golfo, spesso il braccio legale per finanziare la propaganda wahabita e i gruppi radicali. Più di una di queste charity è stata chiusa.

Allarme reale?

Fare la tara tra l'elemento di allarme reale e di solida preoccupazione cui cercare di porre rimedio e il rischio di esacerbare istericamente episodi settoriali o residuali è sempre complesso. Secondo alcune fonti le preoccupazioni del governo di Baku sono esagerate9 e il fenomeno sovrastimato a fronte di una cooperazione piuttosto salda tra l'intelligence di Ankara e quella di Baku. Nondimeno il fenomeno esiste: interessa Paesi lontani come Afghanistan e Pakistan (quest'ultimo soprattutto) e più recentemente Iraq e Siria senza contare l'elemento tradizionale caucasico. Partenza e ritorno di giovani (o meno giovani) azerbaigiani per e da queste aree sono fenomeni che esistono e che sarebbe sciocco ignorare anche perché son già costati diverse vittime all'estero e hanno prodotto episodi di allarme sociale in Azerbaigian. La partenza e il ritorno da queste aree è un elemento da indagare sia nelle cause specifiche che lo producono (fervore ideologico, problemi legati alla mancanza di lavoro, tensioni sociali con un alto numero di sfollati, insoddisfazione, ricerca etc) sia in quelle che lo alimentano (propaganda jihadista, l'influenza di chi torna, finanziamenti occulti, necessità di reclutamento). Da questo punto di vista l'Azerbaigian sembra un caso studio interessante proprio perché si tratta di un Paese laico e a vocazione laica dove si è verificata recentemente una trasformazione nell'islam nazionale, contaminato seppur marginalmente da correnti estranee alla tradizione locale. Infine, il risentimento anti russo (anche legato alle vicende con l'Armenia e alla posizione di Mosca) può essersi tradotto in una spinta a combattere, seppur indirettamente, l'influenza della Russia (che appoggia Assad). Non di meno, come abbiamo visto, esiste anche l'inverso, ossia il giovane azerbaigiano che parte per appoggiare il regime del presidente hashemita.

Convergono infine una serie di fattori che interessano tutto il mondo islamico, arabo e non. Per esempio la guerra indiretta tra sauditi e iraniani, spesso combattuta con il sostegno a gruppi settari e fazioni armate che agiscono contro determinate comunità. L'arruolamento jihadista è comunque una realtà ed è interessante studiare come il sedicente Stato islamico si stia muovendo anche oltre confine per reclutare accoliti, se è vero – notizia di questi giorni – che esistono campi di addestramento in Libia e che  in Pakistan l'Is avrebbe arruolato tra 10 e 12mila combattenti10

*Relazione presentata al Convegno "Sguardi sull'Azerbaigian", Trento 5-6 dicembre 2014 Centro Studi sull'Azerbaigian e Csseo

3 Lo State Committee for dealing with religious entities è stato istituito con decreto presidenziale nel luglio 2001

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