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mercoledì 9 aprile 2014

Strage a Islamabad. Quando il gioco si è fatto troppo duro

E' una strage* a grandi numeri che richiama ala memoria quella all'Hotel Marriot di Islamabad nel 2008. Ma allora non era in corso un negoziato di pace, ora si. Quindi la strage di stamattina (oltre venti morti e un centinaio di feriti), prodottasi in un affollato mercato della verdura nella capitale (area Metro Shopping center a Sabzi Mandi, tra Islamabad e Pindi), è una pessima notizia cinque volte. Una volta perché a pagare sono sempre i civili, una seconda volta perché c'è una scelta deliberata di terrore, che colpisce nel mucchio in un luogo pubblico e affollato di poveracci (i ricchi vanno al supermarket). La terza perché dimostra come il Ttp, i talebani pachistani impegnati in trattative col governo, non controlli più i suoi polli e i suoi sodali. La quarta riflessione è che il Pakistan ha tollerato e spesso incoraggiato l'estremismo radicale giocandolo in chiave interna ed esterna (Afghanistan). Ora quel mostro è così cresciuto da essere divenuto incontrollabile persino dai “duri” del Ttp (che hanno condannato la strage e smentito un loro coinvolgimento). E c'è anche un quinto aspetto.

Por mano tardi a questioni complesse porta a scelte che magari suscitano consenso ma che minano le libertà elementari. In Pajkistran sta per passare una legge, la PakistanProtection Ordinance, che gli attivisti per i diritti umani hanno paragonato al Patriot Act americano del post 2001. Ma siamo in Pakistan dove lo stato di diritto è assai più fragile che negli States. Per por fine alla guerra col terrorismo, questa nuova legge rischia di far di ogni erba un fascio, come sempre succede quando si decide, in ritardo, per la linea dura. La strage accelererà l'iter della legge senza andar troppo per il sottile.

*In serata è arrivata la rivendicazione dell'United Baloch ArmY (Uba) ma il governo non crede alla rivendicazione

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